Quell’antico suono di ciaramella
Testo di Fausto Bolinesi
“Siamo gli zampognari”. Un moto quasi di fastidio e di imbarazzo ha attraversato, in misura più o meno evidente, tutti noi che da poco avevamo finito il pranzo. Il tempo intercorso tra l’annuncio al citofono e il temuto suonare del campanello sulla porta di casa, è stato occupato a discutere sulla tattica da usare per evitare quell’intrusione: non aprire affatto, dire che c’era qualcuno che dormiva, dire che non si era interessati punto e basta. Ma quando hanno suonato alla porta, sono saltati tutti i piani e, stranamente più divertiti che arrabbiati, li abbiamo fatti entrare e ci siamo messi intorno all’albero, per la verità noi un po’ nascosti da questo, rassegnati ad ascoltarli: un giovane che suonava la ciaramella e un anziano la zampogna. Ci nascondevamo perché quel suono squillante, improvviso, quasi stridulo della ciaramella ci faceva ridere. Poi, per non sembrare scortesi, ci siamo spostati e abbiamo incrociato lo sguardo, serio, degli zampognari e quel riso a fatica trattenuto è diventato il sorriso di un’emozione improvvisa, inaspettata …piacevole. Abbiamo risentito il suono delle ciaramelle e della zampogna che puntualmente annunciavano e accompagnavano i Natale della nostra fanciullezza e della nostra adolescenza, quelli con meno luci ma, almeno nei nostri ricordi, più luminosi. I Natale in cui la cometa era una stella che brillava di luce propria e non un pianeta che rifletteva quella di vetrine e di spot televisivi. Erano i Natale in cui quando si sentiva bussare alla porta, peraltro sempre aperta, si correva ad aprire con la curiosità e il piacere di vedere chi fosse e non con l’infastidito timore di trovarsi di fronte a venditori, imbroglioni o “testimoni di Geova”. Gli zampognari venivano nel primo pomeriggio ed entravano in tutte le case così che dall’intensità del suono che man mano aumentava, sapevamo in quale famiglia si trovassero in quel momento e potevamo prevedere con esattezza quando avrebbero bussato alla nostra porta. Li vedevamo circondati da un alone di mistero, ci portavano gioia più che allegria e guardavamo con curiosità quegli strumenti, in particolare la zampogna che ci sembrava buffa anche nel nome. Non sapevamo da dove venissero effettivamente, né in fondo ci interessava saperlo: ci piaceva credere che fossero partiti da un piccolo paese dell’appennino innevato. Sicuramente ricevevano offerte in denaro, ma ci pare di ricordare anche che accettavano un bicchiere di vino o qualcosa da mangiare. Suonavano la cosiddetta “novena di Natale” per cui il “Tu scendi dalle stelle” lo sentivamo per nove giorni di seguito in casa nostra e dalle abitazioni vicine. E’ lo stesso che, riascoltato per novanta secondi oggi, ci ha fatto risentire i canti che credevamo dimenticati e che invece abbiamo scoperto essere dentro di noi, come lo sono i ricordi e le sensazioni che Persano lascia in chi ci ha abitato o semplicemente lo ha conosciuto. Il riaffiorare improvviso di quell’antico suono di ciaramella, che ha trasformato una risata trattenuta in un sorriso emozionato, ci ha fatto capire che quei Natale della nostra adolescenza non sono scomparsi, ma vivono ancora con noi. Come Persano.
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