Metodologia del lavoro a Persano fino alla prima metà degli anni cinquanta
Breve analisi dei contenuti sociali rilevati nel sito reale Borbonico di Persano con incidenza nella composizione socio economica degli ultimi abitanti.
L’esistenza del comprensorio di Persano in provincia di Salerno, adagiato nella vasta piana servita dei fiumi Sele e Calore, è nota sin dai tempi della dominazione borbonica. Già da allora si allevava il cavallo perché esso interessava la caccia e la guerra, in un contesto ambientale che si prestava ad entrambe le specialità.
I nuclei familiari insediatisi nel tempo, ricorrendo molto spesso alla pratica del turnover familiare, erano scelti nei paesi vicini, instaurando, nelle generazioni che si sono susseguite, una continuità di prestazioni lavorative di sicuro rendimento.
Molti tratti della storia umana sono legati al rapporto col cavallo, l’evoluzione avvenuta anche principalmente a dorso di cavallo.
Esso è stato chiamato a reggere il filo che porta le genti della Maremma Tirrenica Salernitana verso lo sviluppo che si è raggiunto oggi. Così che il buttero, nell’etimologia comune guardiano di cavalli e conduttore di mandrie, impiegava giorni a spostare i puledri da Persano a Napoli, presso le scuderie del Palazzo reale di Piazza del Plebiscito, emergendo come figura centrale di lavoratore anche durante i successivi governi di diversa estrazione politica.
Si allevava in selezione il cavallo per le corti europee, si registravano i dati per il meticciamento, e al tempo stesso, si rinforzava l’agglomerato umano che, nonostante gli eventi storici che periodicamente accadevano, è riuscito a rimanere quasi intatto fino al 1972.
Negli ultimi anni l’organigramma prevedeva: 1 comandante (Colonnello di Cavalleria in Servizio Permanente Effettivo), 2 ufficiali veterinari, 1 ufficiale addetto alla rimonta, 1 ufficiale addetto alla razza, 1 ufficiale addetto all’amministrazione, 1 ufficiale addetto all’equitazione, 4 sottufficiali addetti all’amministrazione, 2 sottufficiali addetta alla equitazione, 13 impiegati addetti al personale e alla razza. Settore ippico: 1 capo razza, 1 capo butteri, 58 butteri. Settore agricolo: 1 capo braccianti, 3 responsabili area, 32 campagnoli, 11 magazzinieri. Settore tecnico: 1 capo officina, 34 addetti. Settore bovini: 1 capo massaro, 11 addetti allevamento. Guardie giurate a cavallo: 1 capoguardia, 6 addetti alla guardiania. Le operazioni di giornata iniziavano alle 6:30. Il capo razza il capo butteri, tra i primi, a conoscenza delle esigenze dei reparti, stabilivano i turni di lavoro, in particolare nei periodi di più intensa presenza di personale giovanile. Poiché si procedeva alle assunzioni secondo regole di merito, dopo un periodo di apprendistato uguale per tutti, guadagnavano il posto di lavoro quelli che rivelavano altitudini spirito di sacrificio.
Gli anziani prelevavano la giumenta nelle scuderie adiacenti al Palazzo Reale, per recarsi velocemente verso i padiglioni ed i pascoli, ad accudire fattrici e puledri. Altri, sempre a cavallo, si recavano ai reparti di Mena nova e Angelini per le funzioni inerenti alla doma e all’addestramento.
Il capo razza, nei branchi, valutava lo stato di salute degli equini insieme all’ufficiale veterinario. Di norma a maggio avveniva la frase della marchiatura, per i puledri di due anni. Per gradi si procedeva alla riforma degli equidi alla soglia dei 18 anni, alla scelta delle fattrici intro razza, e alla castrazione dei maschi non idonei per la riproduzione. Contatti stretti tra veterinari e butteri in particolare per i veterinari di prima nomina interessati a fare esperienze.
Il capo razza eseguiva tranquillamente, in campo aperto, l’esplorazione rettale, insaponandosi il braccio, per accertarsi dello stato di gravidanza delle fattrici.
La castrazione dei maschi avveniva presso il settore infermeria, a mano, eseguita dal capo dell’infermeria alla presenza del veterinario. Butteri più giovani formano il team per questa delicata operazione. La produzione del grano, del fieno, della paglia veniva immagazzinata nei grandi capannoni, ove lavorava personale scelto dopo un duro tirocinio.
Le bighe di fieno e di paglia raggiungevano altezze notevoli.
Da 100 ettari di terreno si ottenevano tra diciottomila e le ventimila balle di fieno di 25-30 kg ognuna.
Tutto il personale menzionato nell’organigramma era impegnato dapprima per dieci ore, poi otto ore per cinque giorni alla settimana, ad eseguire questi lavori del ciclo integrale l’allevamento selettivo equino di Persano.
Quando le esigenze si facevano pressanti, si chiamavano in servizio i braccianti agricoli, nei periodi stagionali delle semine e dei raccolti, tenuti a paga giornaliera di un rapporto a tempo determinato.
Erano cinquecento all’anno, numeri importanti che servivano anche per arginare il fenomeno dell’emigrazione, in quegli anni molto forte.
Per la manutenzione ordinaria e straordinaria degli impianti di sollevamento dell’acqua dai due fiumi, il Sele e il Calore, operavano quattro dipendenti del settore “officina”, che garantivano i flussi che arrivavano sino ai capannoni degli animali, disseminati lungo la tenuta demaniale.
Per il trasporto della biada e delle balle di fieno e paglia si usavano i carri trainati da cavalli robusti, oppure dai tuoi autoctoni grigi, addestrati presso la vaccheria, un settore a sé, con capannoni attrezzati, due grandi silos per conservare gli alimenti, tre maestosi tori per la riproduzione, decine di vacche che lavoravano e davamo latte per i dipendenti e le famiglie.
I maschi venivano castrati e ferrati.
I fabbri battevano il ferro, tutto il giorno in coppia, per garantire alle fasi finali ferratura a cavalli e buoi.
La fornace sempre accesa, con i carboni ardenti, a modellare l’impronta con battute alterne e sincronizzate.
I ferri roventi passavano al maniscalco che provvedeva modellarli alle zampe degli animali.
L’Officina forniva anche i lavoratori per riparare le staccionate, per rifare mobili di ufficio, per aggiustare selle e finimenti o costruirne di nuovi.
Vi era un nucleo di artigiani in grado di sopperire a tutte le esigenze del Centro, lavorando il legno, il cuoio, a calatafare i carri e le carrozze.
Era pratica normale assistere, durante la giornata lavorativa, al passaggio di butteri a cavallo che trasferivano gruppi di equini da un pascolo all’altro. Oppure ammirare gli stalloni montati in esercizio a godere della ginnastica funzionale, soprattutto quando si chiudeva la stagione delle monte. Ciò creava abitudine negli abitanti, in particolare nei bambini, che potevano, in futuro, accedere al mestiere.
Due volte all’anno, a maggio e ad ottobre, si tenevano “le corse al campo” per rispettare le leggi della selezione che decretava nei soggetti migliori e per la riproduzione e per l’avvio ai reparti della cavalleria e dell’artiglieria. Tutto il personale era mobilitato. Erano giornate importanti per la presenza anche di alte personalità dello Stato, dell’ambiente equestre ed equatoriale. Le gare erano organizzate con l’ausilio di protocolli nazionali. a cui partecipavano butteri, sottufficiali ed ufficiali.
La marchiatura dei puledri era anche occasione di festeggiamenti e giochi all’aperto. Vi partecipavano, fra gli altri, amazzoni e persone fornite di censo.
Agli inizi di giugno partivano i gruppi di max sei persone per condurre gli animali sui monti circostanti a godere dei vantaggi dell’erba fresca. Il ritorno nei primi giorni di ottobre. Vi era una tacita turnistica, tutti vi partecipavano nel corso degli anni, anche attirati dai qualche soldo in più sulla paga mensile. Si dava massima importanza alla composizione dei gruppi perché la gestione del campo post lavoro era affidata ai volenterosi capaci di garantire il superamento di pratiche quotidiane, trovandosi in luoghi fuori ambienti familiari.
Notevole impulso si ebbe, nei primi anni del ‘900, nella pratica della fecondazione artificiale degli animali, quando si iniziarono ad applicare le nuove tecniche, studiate e messe a disposizione dagli Ufficiali veterinari, che lavoravano in collaborazione con i laboratori di Milano del professore Basadonna. Il materiale equino era di prima scelta per maneggevolezza e integrità fisica. L’allevamento di Persano risultò fucina di vasta applicazione con procedure che accelerarono la riuscita delle nuove tecniche oggi notevolmente diffuse.
Si crearono figure professionali al passo del lavoro scientifico, come infermieri specializzati. Per la salvaguardia di materiali, animali e attrezzature intervenivano le guardie giurate a cavallo che, suddividendosi i reparti da controllare, stavano attente affinché non venisse compromessa l’operatività del Centro.
Gli uffici amministrativi, concentrati nel Palazzo reale borbonico provvedevano a tutte le incombenze riguardanti le applicazioni normative vigenti per il personale la tenuta dei ergistri di razza, i rapporti con enti esterni e la gestione del patrimonio boschivo.
La domenica i liberi dal lavoro, con le rispettive famiglie, si ritrovavano nella Cappella votata alla Santissima Vergine Maria delle Grazie, in un afflato escatologico che purificava gli animi, col parroco che parlava da amico, immergendosi nella meditazione religiosa della parusia.
Antonino Gallotta
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