Lettera di un persanese ad un cappellano militare
Di Fausto Bolinesi
Lei ci definisce “ex persanesi”, con un tono che forse nelle intenzioni voleva essere spregiativo. Ancora una volta siamo costretti a ricordarle che essere “persanesi” non significa nascere o vivere a Persano, ma conservare i valori e la cultura di un territorio a cui si è legati per motivi non necessariamente anagrafici. Non è la carta d’identità che ci rende “persanesi”, ma la sensibilità per riconoscere quei valori che lei ha dimostrato di non avere. Per questo noi non saremo mai “ex” e lei non è stato, non è e non sarà mai “persanese”.
Ci sembra che con il suo comportamento lei non stia rendendo un buon servigio alla divisa che tutti noi rispettiamo e che molti persanesi, militari di ogni ordine e grado, onorano o hanno onorato anche con medaglie e riconoscimenti al valore. Essere un ufficiale dell’esercito, infatti, comporta delle responsabilità che richiedono una particolare capacità di analisi e valutazione degli eventi che, abbiamo avuto l’impressione, a lei forse manca.
Crediamo che lei non stia rendendo un buon servigio neanche all’abito di sacerdote perché nei comunicati che ha pubblicato su facebook indirizzati a noi, non riusciamo a trovare nulla del messaggio evangelico che per essere in grado di trasmettere, occorre prima aver compreso. Oltre tutto ci ha lasciato perplessi il suo invito alla Madonna a benedirci: noi pensavamo che solo il Signore e il sacerdote in Suo nome potessero farlo e questa sua delega non sappiamo se sia volontaria o frutto di distrazione.
Lei si è arrogato il diritto di tenere chiusa la Cappella, di fatto occupandola, con la frase “non sono il vostro parroco e non sono tenuto ad informare nessuno sulle mie decisioni e amaggior ragione chi non mi appartiene come fedele” che sarà pure formalmente corretta, ma moralmente scandalosa. Lei si è comportato come il padrone che decide chi può accedere alla sua proprietà e nel timore quasi ossessivo che un persanese infedele, nel senso di non suo fedele, potesse entrare nella cappella e salutare la Madonna, ha dato disposizione perché il portone restasse chiuso. Nel giorno in cui tradizionalmente viene festeggiata, lei ha posto la Madonna agli arresti domiciliari: non si è reso conto che non ha impedito ai persanesi di entrare, ma alla Madonna di uscire.
Il suo primo messaggio pubblicato su facebook ci ha lasciato stupiti, dispiaciuti e delusi, ma abbiamo pensato che, per motivi che non conoscevamo, fosse in uno stato di particolare tensione per cui, secondo l’insegnamento di Gesù, abbiamo ritenuto giusto perdonare chi non sapeva quello che faceva. Tuttavia il suo secondo messaggio, oltre a confermare un rapporto conflittuale con la sintassi che già si era reso evidente nel primo, ci ha fatto concludere che lei sapeva quello che faceva. Ma la perdoniamo ugualmente perché si è punito da solo.
Quando lei scrive che eravamo semplici invitati ad una festa che ha deciso di non organizzare più, fa supporre che si è sempre sentito estraneo, ha sopportato e non ha mai amato una comunità pacifica, onesta, rispettosa delle istituzioni quale la nostra. Non ha potuto condividere, per suoi limiti, i momenti di grande intensità emotiva che univano tutti i partecipanti alla “festa”. Emozione che poteva anche avere una genesi non completamente religiosa, ma aveva comunque l’effetto di far sentire tutti uniti, protetti, rassicurati da quella immagine che si portava in processione. Sottraendosi all’abbraccio della nostra comunità non ha provato la gioia serena e l’orgoglio di sentirsi persanese tra i persanesi. Ecco perché diciamo che si è punito da solo.
Nei suoi messaggi pubblici lei usa espressioni come “ho deciso”, “non sono tenuto a informare nessuno sulle mie decisioni”, “la caserma non è una parrocchia”, “non potete rivendicare nessun diritto”, “rivendicare un diritto che non vi appartiene”. Anche in questo caso non rende un favore alla istituzione militare di cui fa parte perché sembra quasi che lei intenda la caserma come gli antichi conventi che godevano dei vantaggi della extraterritorialità, tanto da farle dimenticare che deve rendere conto anche ai suoi superiori militari, oltre che religiosi.
Oggi, la porta della cappella chiusa, ha tenuto fisicamente separata la collettività persanese dalla statua della Madonna delle Grazie. Dalla statua, non dalla Madonna, perché figuriamoci se qualche centimetro di spessore di legno, seppure stagionato, ha potuto fermare la preghiera di una comunità incredula per la situazione che stava vivendo, ma non certo rassegnata. Ed infatti quella comunità costituita da persanesi residenti e persanesi giunti da località distanti come Bolzano e Budapest, è sempre lì, davanti quella porta chiusa.
E ci resterà fino a quando sarà riaperta, perché i cappellani passano, ma Persano e i persanesi, che non diventano mai “ex”, restano.