Don Vincenzo Avallone, il cappellano che amava Persano
Testo di Fausto Bolinesi, foto Archivio Persano nel Cuore
Ci sono persone che non vorremmo mai ricordare, che in effetti non ricordiamo mai e quando ci vengono ricordate ci procurano un naturale fastidio, e ci sono persone che non vorremmo mai dimenticare, che in effetti non dimentichiamo mai e quando ci vengono ricordate ci procurano un naturale moto di commozione e di affetto. A quest’ultima categoria appartiene Don Vincenzo Avallone cappellano militare a Persano negli anni sessanta. In teoria, in quanto cappellano militare, non era il parroco di noi che appartenevamo alla popolazione civile, tanto più che il parroco “ufficiale”, Don Vittorio Granito, lo avevamo già. Ma Don Vincenzo, da uomo intelligente e colto oltre che buono, capiva bene che la tipologia dei fedeli non dipendeva dall’abito che indossava, cioè la divisa militare o la veste talare, perché il ministero sacerdotale, come è giusto che sia, lo viveva come un servizio alla comunità e non come un impiego. La sua anima, la sua disponibilità verso il prossimo, così come la porta della cappella del Palazzo, era sempre aperta. E noi, non ancora adolescenti, quella porta la varcavamo spesso e volentieri, richiamati da quel prete strano che non ci intimoriva, che giocava con noi ed era lo stesso che vedevamo poi raccolto in preghiera genuflesso su un inginocchiatoio, per esempio, durante le funzioni religiose del mese mariano. Era lo stesso che faceva arbitrare le nostre interminabili partite a pallone da un soldato che puniva con l’espulsione di alcuni minuti non un fallo di gioco, ma ogni parolaccia che ci sfuggiva. Era lo stesso che veniva a trovarci nella nostra scuola elementare e con il suo registratore da poco acquistato ci faceva divertire, e si divertiva, osservando noi che stupiti riascoltavamo le nostre voci. In una di quelle occasioni ricordo che, estasiato, ci fece sentire, sì, sentire, non ascoltare, un brano della “Sinfonia della Forza del destino” di Verdi. Potrebbe essere una follia far ascoltare quella musica “pesante” a scolari delle elementari, ma se sono qui a ricordarlo a distanza di decenni, vuol dire che follia non era. Quando giunse la notizia che sarebbe andato via provai un grande dispiacere. Seppi che il suo vescovo lo voleva ad Ischia: non gli si poteva dare torto perché evidentemente era consapevole di quanto valesse quel sacerdote. Un giorno, quando aveva lasciato Persano già da alcuni mesi, gli scrissi. Volevo fargli sapere quanto fosse stato importante per me, e credo non solo per me, averlo conosciuto. Non ho mai ricevuto risposta a quella lettera che, nella mia ingenua fiducia nelle poste italiane, avevo indirizzato semplicemente a Don Vincenzo, Ischia. Ora mi piace immaginare che Don Vincenzo avrà finalmente potuto leggere quel mio scritto e questo mio ricordo e che sappia quanto la comunità persanese gli volesse bene e lo stimasse. Ciao Don Vincenzo, ogni volta che sono entrato nella cappella e ho visto l’inginocchiatoio, mi sono ricordato di te e ti ho rivisto raccolto in preghiera. E ti rivedrò ancora, soprattutto ora che certamente starai pregando dove solo i buoni e i puri di cuore meritano di andare.
Devi effettuare l'accesso per postare un commento.